Da giustizialisti a garantisti, basta un avviso di garanzia per cambiare il DNA del partito di Grillo
Non c’è due senza tre, dopo Nogarin e la Raggi un altro sindaco del Movimento Cinque Stelle finisce nel registro degli indagati.
C’era una volta la favola di quel movimento che, tra uno scontrino ed un invito ad andare a quel paese, dichiarava ai quattro venti che gli unici intoccabili dalla magistratura erano proprio loro. Si dichiaravano intoccabili perché si autocertificavano come “onesti doc” e come tali, immuni da qualsiasi dubbio e conseguente verifica della magistratura riguardo la loro rettitudine.
Erano i prescelti, il popolo eletto, gli ariani dell’onestà. Una razza perfetta ed irripetibile che avrebbe segnato le sorti dell’Italia e le cui gesta sarebbero state tramandate da canzoni, saghe e ballate. La favola purtroppo ad un certo punto si è interrotta. Come tutte le favole brutte e scontate non c’è stato nessun lieto fine. Si è trattato di un brusco risveglio, molto semplicemente il sogno lastricato di belle parole e buone intenzioni si è rivelato un incubo snervante buono al massimo per tramandare ai posteri paradossi e barzellette.
Chi da questa favola si aspettava lauti guadagni cerca ora di mettere una pezza dicendo quelle verità che gli altri dicono da sempre: un avviso di garanzia non è una condanna. Peccato che siano stati i loro stessi seguaci i primi ad essere interdetti da questo cambio di bandiera. Ai grillini era sempre stato inculcato che il garantismo e le accuse alla magistratura di seguire “piste politiche”, altro non era che la foglia di fico usata dalla “casta” per coprire le loro porcate e salvare la faccia.
Ora che il candidato premier Di Maio si è “scoperto” garantista e castigatore dei magistrati, a qualche pentastellato girano i “cabbasisi” poiché a tutti piace ascoltare le barzellette ma a nessuno piace esserne i protagonisti.