La marcia della Vagina

La marcia della vagina

Tra saluti romani e pugni chiusi, il triangolo formato dalle mani alzate delle Donne squarciava omertà, indifferenza ed ipocrisia.

Nel 1974 sono nato io, poco male. Il 1974 è stato l’anno di Rock Bottom di Robert Wyatt. In Italia, il 1974 è stato l’anno del referendum sul divorzio; l’anno in cui la politica provava piacere a “svestirsi”, a “spogliarsi” di tutto quello che poteva essere identificato come una “dottrina”.

Correvano gli anni delle tre istituzioni – il Sindaco, Il Prete ed il Farmacista – che non volevano mollare quegli spazi che altri reclamavano. Correvano gli anni delle Donne, quelle con la “D” maiuscola, quelle che sfilavano e sfidavano le piazze di un’Italia che aveva gli occhi puntati sul futuro ma le scarpe infangate nel passato.

Tra saluti romani e pugni chiusi le Donne del ’74 mostravano, unendo i pollici e gli indici delle mani, il segno della vagina, un segno forte che ancora oggi imbarazza gli esteti ed i mitomani di una virilità romanzata.

Tra bombe in piazza e bombe sui treni, che dilaniavano vite e speranze, le mani alzate delle Donne a formare il triangolo squarciavano l’ipocrisia di un paese provinciale assoggettato ad una dottrina che vedeva il delitto d’onore ed il matrimonio riparatore come rimedi estremi e necessari per combattere l’anarchia delle vagine.

Sono passati quarant’anni, ho un vecchio giradischi con l’amplificatore a valvole, ho la barba che inizia a sbiancare. La marcia delle vagine, dopo tante vittorie, si è arenata nei paradossi dei decenni successivi. La politica di oggi odia essere nuda e cerca dottrine a buon mercato che la ricoprano, che la coccolino e che la riscaldino a dovere.

I saluti romani si vedono solo negli stadi, per vedere i pugni chiusi bisogna girare con una lanterna come Diogene, ed il segno della vagina? Quel simbolo è oramai scomparso, sono poche le ragazze che conoscono la sua storia e la sua forza. Resiste il suo ricordo nelle foto sbiadite in bianco e nero e nei ricordi di quelle Donne che, oggi, ostentano con orgoglio i loro capelli bianchi ed i segni di quel tempo e di quelle stagioni irripetibili.

Sopravviviamo al tempo delle cover e delle farfalline tatuate al posto delle mani alzate. Ho imparato a diffidare di chi aspira a governare e, privo di una sua morale, per colmare la lacuna, ricorre ad una dottrina preconfezionata.

Restano le storie di simboli e marce che non trovano spazio nei libri e la sensazione è che non basti far girare un vecchio vinile e canticchiare Sea Song a mezza voce: “You look different every time you come…”

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