JEFTA, luci ed ombre

JEFTA

JEFTA (Japan-Europe Free Trade Association)

Unione Europea e Giappone si accordano per abbattere i dazi su migliaia di prodotti. In un contesto storico dove per le persone si ergono muri e barriere, i mercati continuano ad abbattere i confini nella continua ricerca di spazi vitali.

Se nei giorni scorsi si è molto parlato dei potenziali sviluppi (o meglio sull’iniezione di ossigeno) dello JEFTA sull’asmatico mercato dell’automotive, esattamente una settimana fa, Carlo Petrini (fondatore di Slow Food ed ideatore di Terra Madre) ci metteva in guardia, con un interessante articolo apparso domenica 15 luglio su Repubblica, sulle ripercussioni che l’accordo avrebbe avuto sul settore agroalimentare italiano.

Purtroppo l’invito di Petrini ad un’analisi critica sugli accordi internazionali come lo JEFTA si è perso nel labirinto dell’indifferenza. Delle attuali 294 denominazioni alimentari, solo 18 saranno incluse nell’accordo, mentre nel settore vinicolo saranno solo 28 su 523.

Una situazione “sia seria che grave” ma, stando alle (non) reazioni, da affrontare in futuro e quindi di non stringente attualità. Tanto basta per allontanare nel futuro la questione JEFTA e liquidarla con un “vedremo a tempo debito” (magari quando l’irreparabile potrebbe essere fatto passare come frutto di un errore “di quelli di prima”).

La verità è che in Italia ci sono ancora quelli come Petrini che non perdono la speranza e si ostinano a perseverare con la loro resilienza, ma sono sempre di più una netta minoranza rispetto a quelli che preferiscono non pensare oggi al problema che certamente arriverà domani. 

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